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Scritti per Ventiquattro

Giovani in bilico

di Fereshteh Sari

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«Sai chi ho visto? Ti ricordi di Ashkan?».

«Sul serio?!».

«Nilufar, sposta questi dannati dolci dal tavolo o li faccio fuori tutti».

«Siediti, lascia che lavi della frutta e racconta».

Adesso è un buon momento per dirglielo? Aftab non ritornerà tanto presto.

«Allora, che hai detto ad Ashkan? Come sta?».

«Parlare ad Ashkan, stai scherzando! Sembrava avesse visto il demonio, ha voltato la faccia. È proprio male in arnese, i capelli mezzi bianchi. E di quella coda di cavallo color nero ala di corvo – te ne ricordi? – non ce n'è traccia, anzi, si direbbe che non sia stato dal barbiere, ma se la sia tagliata da solo con le forbici, zac. Scarmigliato, conciato che non hai idea, ingobbito. Passava per strada con un ragazzo, Arash, te lo ricordi? Sì, il figlio di Mariam, anche se è cresciuto gli è rimasta la faccia da bambino».

«Che ha fatto Ashkan quando ti ha vista?».

«Che ha fatto? Mi ha lanciato uno sguardo pieno d'odio, ha svoltato ed è entrato in una vecchia casa. Arash mi aveva presa per le braccia, non mi mollava, e ripeteva "non arrabbiarti zia Roia, è matto. Vieni a casa nostra". Lui insisteva e io rifiutavo, ma non c'è stato verso. E così sono andata malvolentieri e sono uscita peggio».

«Perché, che è successo?».

Intanto avevo il cuore in pena. Perché Aftab non chiamava? Quando l'avrei detto a Roia? Sarebbe stata d'accordo?

«Niente di particolare, solo che non ci sentivamo da dieci anni, e d'un tratto mi trovavo a casa loro, certo anche Mariam ne era felice, o almeno così dava a vedere, continuava a ripetere "incredibile!". Non sapevo che dire, dovevo inventarmi qualcosa. Il padre stava dormendo. Mariam mi ha messo un bicchiere in mano, dando l'esempio, non so che vino fosse, ma da come parlava e barcollava era chiaro che doveva aver cominciato nel primo pomeriggio. Il tavolo era pieno di stuzzichini e frutta secca, in vassoietti argentati e di ottone: pasticcini, dolcetti, pistacchi, mandorle tostate, frutta secca. Mariam stava seduta sul divano, di fronte a me, tipo soprammobile, e con voce strascicata mi ha chiesto di raccontare. Toccando legno, Mariam ha detto che non ero cambiata, mentre Arash continuava a chiedermi che musica poteva mettermi. Ha rovistato fra centinaia di cd, poi ne ha scelto uno di hip hop».

«Beh, hai avuto vino, musica e gentilezze, perché dici che sei stata male?».

«L'atmosfera era pesante, nonostante gli sforzi di Arash, capisci?!».

«Ho smesso di capire, è più facile che smettere di fumare».

«Ho detto a Mariam che avevo visto Ashkan per strada, e lei mi risponde: "Hai visto come s'è ingobbito?". Certo, è male in arnese, ho risposto, pensare che era un bel giovanotto, uno che non si degnava di mangiare neanche con il re. Mariam mi ha offerto dell'altra frutta secca, poi naturalmente sono arrivati i cetrioli, lo yogurt, gli involtini, le olive, i sottaceti, e hanno tirato fuori tutto quello che avevano da bere, tonica, liquore. Mariam tracannava tutto quello che tirava fuori, un bicchiere dopo l'altro, ma non bicchierini, bicchieri colmi. Arash mi dice: "Zia, la settimana scorsa siamo andati con Ashkan a vedere la Formula Uno". Ma che, in Iran abbiamo la Formula Uno?, ho chiesto io. Allora Mariam m'ha detto: "Dove vivi, non sai che se hai soldi in Iran trovi tutto?". E Ashkan che ci fa tra i ricchi?, ho chiesto io. E Mariam mi ha risposto che anche se hai le tasche vuote basta darsi delle arie. Arash ha detto che è stato bellissimo, la sera hanno dormito in tenda, sulla pista, con i sacchi a pelo. "Zia Roia, le stelle erano così grandi e vicine che avevamo paura cadessero per terra!". Allora Mariam, con la lingua impastata, gli ha chiesto: "Perché a me non le racconti queste cose?" e Arash, increspando le labbra, le ha risposto: "Mamma, non ne hai mai voglia, ogni volta mi dici: ‘Dopo, me lo racconti dopo'". Ho chiesto a Mariam com'era che Ashkan aveva perso tutta la sua boria. Mi ha risposto con gli occhi mezzi chiusi: "Ti ricordi che caratteraccio aveva, ha perso gli allievi, uno a uno, non riusciva più a pagare l'affitto della villa nei quartieri occidentali, è stato costretto a tornare a casa dei suoi, nella parte est di Teheran, di cui s'era stufato, vicino a parenti che sperava di non vedere più e che lo chiamavano ‘il musicista', una tribù di zii e zie che si erano riversati nella casa che avevano ereditato. Ti ricordi che di solito erano gli allievi che andavano da Ashkan, ma per paura dei controlli negli appartamenti s'era messo lui ad andare da loro, visto che era scapolo e c'era un dossier su di lui. Un giorno era andato a casa di un'allieva, la nonna della ragazza aveva steso il tappeto per la preghiera vicino al pianoforte, allora lui, furente, se ne andò. Quel giorno è venuto a casa nostra, non sai con che indignazione ce l'ha raccontato, ha perso così la maggior parte degli allievi, più altri che non avevano il pianoforte in casa. Sempre nella zona ovest, avevano già preso un maestro di violino, scapolo. Insomma, non può far venire in casa delle allieve, per di più in quella babele, non nella zona est. Ma tu, quel giorno che t'ha buttata fuori dal concerto, che gli hai detto?". È roba vecchia, lasciamo perdere, ho risposto io. Ma lei ha continuato: "Che è successo, mi hai detto solo che t'aveva buttata fuori". Allora ho raccontato: sai che era un musicista di talento, forse lo è ancora, faceva quattro concerti all'anno, all'inizio di ogni stagione, nella sua villa, aveva un cagnaccio che si stendeva vicino al piano, nel pieno della Nona di Beethoven, il cane ha fatto un balzo improvviso verso di me e io ho invocato Abolfazl. Allora Ashkan s'è alzato, in mezzo al concerto, e m'ha indicato la porta dicendomi di andarmene.   CONTINUA ...»

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